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RUBRICHE > ARTE & CULTURA > Afganistan: riflessioni e osservazioni con Giovanni Salvini

Coraggio, il meglio è passato

Giuliana Donzello| 20 Aprile 2022 - Arte & Cultura
La celebre frase di Flaiano mi ha incoraggiata ad andare a rileggere l’articolo apparso su Exibart 85 febbraio-marzo 2014 di Alessandra Polveroni, editorialista e critico d’arte, in cui il pessimismo e un femminismo irritato viziano in partenza una riflessione sofferta, ma contaminata dal solito pensiero nichilista.
A non tornare per l’editorialista e che per chi lavora tra arte, cultura e comunicazione è che il termine onnicomprensivo “cultura” fa rima con “letteratura”, a porre l’arte su un piano di subalternità.
Vorrei ricordare al riguardo che la critica d’arte nasce figlia della letteratura nel 1897 con i primi concorsi per critici d’arte, presi a prestito dalla critica letteraria, e a decretarne l’origine è stata la Francia che tra fine secolo e i primi decenni del Novecento ha assunto in Europa un ruolo culturale di primaria importanza. E anche lì dove si lamenta una colpevole indifferenza degli intellettuali verso l’arte e si colloca il fenomeno negli Anni Cinquanta, credo non renda giustizia a movimenti come la nascita del Fronte Nuovo delle Arti (1948), nati dalle macerie della seconda guerra mondiale.
Se poi ai vertici delle maggiori istituzioni a prevalere sono gli uomini, quegli stessi uomini che relegano le colleghe in luoghi, sempre deputati, ma di serie B, o in ruoli subalterni, attenti a legittimare oggi le competenze e capacità manageriali femminili su un piano d’inferiorità congenita, decretata da un’epoca che tutti noi vogliamo pensare superata, anche se la difesa delle parità di genere è ancora di difficile applicazione nei luoghi di potere.
L’uomo e la storia: ecco un binomio che nel caso Italia, all’epoca dell’articolo, ha decretato la ”scarsa attenzione“ verso i nostri musei e verso gli artisti di oggi, il cui termine definisce uno stato dell’essere monco di quella genialità che ha connotato il nostro Rinascimento, i Grandi del passato, da sempre celebrati in tutto il del mondo e che continuano a richiamare un turismo d’élite.
Oggi una simile mancanza è attribuita come causa del vuoto nelle sale di visitatori ”a meno che (il pubblico) non legga il giornale…” e non riceva la spinta necessaria a stimolare un interesse culturale. E le colpe si devono ricercare soprattutto nella gestione politica dei ministri che si sono succeduti (Gelmini, Letta, Renzi) e poi Grillo (che a citarlo è come dare la patente ad un cieco): tutti sabotatori, colpevoli di far naufragare il veliero che fino ad allora con il vento in poppa aveva solcato tutti i mari portando la cultura e gli insegnamenti di Michelangelo, Raffaello e Leonardo. E Tiziano no?
Reggono davvero il confronto Cattelan, Vezzoli, Boetti o Pennone, per i quali “c’è gente disposta a mettersi in coda”?
Per la Polveroni la contestualizzazione diventa un optional, non la necessità di affrontare il problema sul piano storico, ma nel dubbio, perché non riproporre allora la sua visione con argomenti forti ed inattaccabili?
Occorre chiudere definitivamente la stagione metafisica: dogma della creatività che si è infiltrata anche nella materia, materia intesa come disciplina, ma non quando è cosità, ovvero materia essenziale, agglomerato chimico e meccanico, quindi sorda a tutte le sirene illusorie di un certo tipo di critica adulatoria. L’autrice dell’editoriale ribadisce: “Avete fatto caso a quante donne dirigono musei in Italia? Non si tratta di emancipazione, è che di quei luoghi frega (!) molto poco”. Eppure le due gestioni del Ministro Franceschini stanno aprendo nuove porte!
La stessa visione nichilista viene ripresa su Exibart 115 del febbraio-aprile 2022 da Matteo Bergamini che invoca il “ritorno” di una normalità normale “e non quella ‘nuova’ che piace tanto ai miei contemporanei”, dove naufraga nell’idea che un dispotismo della comunicazione abbia sbarrato l’organicità del corpo come “soggettività incarnata”.
La percezione tattile è un’esperienza primaria, così come “toccare con mano” è una delle espressione più usate per la conclusione di un’esperienza: vedere e toccare al di là di ogni giustificazione metafisica fa partecipe il “Fare”: la somma di tutte le componenti che il cervello ha immagazzinato con l’esperienza. La materia dà informazioni continue; occorre accoglierle e destrutturarle. Solo se non ci si sforza di esprimerlo, niente va perduto nell’inesprimibile (Wittengenstein), dove l’esperienza del limite del pensiero e del dicibile si afferma con piena evidenza.
Insistere sulla capacità di trarre forme astratte dal pensiero, giustificando l’atto del fare in un momento di puro azzardo mentale è fallimento, fallimento di un vitalismo metafisico che è stato lanciato in soccorso alla mancanza di parole al sostegno critico, perché tale esperienza è in un campo che neanche il lirismo dell’indicibile salva.
L’astratto è sentimento allo stato puro. A verifica non è ripetibile.

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