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RUBRICHE > ARTE & CULTURA> 58^ BIENNALE DI VENEZIA 2019. PERFORMANCE DENTRO E FUORI I PADIGLIONI

58^ Biennale di Venezia 2019
Performance dentro e fuori i padiglioni

Giuliana Donzello | 19 settembre 2019 - Arte & Cultura
Biennale 2019
La Biennale Internazionale d’arte di Venezia 2019 sarà ricordata essenzialmente per due motivi, a partire dal titolo, “May You Live in Interesting Times”, espressione della lingua inglese erroneamente attribuita ad un’antica maledizione cinese, che evoca periodi di incertezza, crisi, disordini, tempi sfidanti e persino minacciosi, come ha precisato il presidente Paolo Baratta nel saluto all’istituzione che lo vedrà nel suo incarico per l’ultima volta. Con il suo discorso ha voluto porgere un invito a vedere e a considerare sempre il corso degli eventi umani nella loro complessità, invito importante in tempi nei quali troppo spesso prevale un eccesso di semplificazione (per usare un eufemismo), generato da conformismo e paura. <<Siamo una mostra internazionale – ha detto Baratta – che fin dall’inizio della mia presidenza pose la parola ‘aperto’ e ‘plateau of humankind’, come sottolineato in tute le successive biennali>>.
Il primo motivo sta nella manifestazione sui generis in uno spazio smaterializzato nominato “Padiglione della Poesia”, inaugurato con la performance clandestina dei Blare Out, che nel giorno di apertura al pubblico ha segnato l’irruzione non prevista da parte dei circuiti ufficiali della manifestazione di dodici attori del citato gruppo che, entrati come normale pubblico, hanno poi iniziato a declamare “Recitativo Veneziano” di Andrea Zanzotto.
Il progetto è nato da un’idea di Alessandro Burbank, in risposta all’assenza di un ars poetica che non ha mai trovato spazio tra le altre discipline artistiche che connotano la grande esposizione internazionale veneziana fin dai primi anni della sua fondazione nel 1895.
Il secondo momento è segnato dalla dominanza delle performance e installazioni come linguaggi preferenziali adottati dalla stragrande maggioranza degli artisti espositori.
In tale contesto va registrata l’apertura del Padiglione del Venezuela, finalmente inaugurato davanti al Ministro della Cultura Ernesto Villegas e il suo Viceministro nel bellissimo spazio progettato da Carlo Scarpa. Gli artisti: Natali Rocha e Gabriel Lòpez, l’uomo tigre-gladiatore in posa per farsi fotografare con il pubblico in atteggiamento da pop-star. Ma anche Ricardo Garcia e Nelson Rangel. Le opere: grandi dipinti su cartone, video, e ovviamente installazioni, voce di un immaginario collettivo mescolato ai ritmi della musica contemporanea, sculture gigantesche realizzate con tessuti multicolore, sui quali aleggia la minaccia di Trump, la più iconica delle opere di Rangel, da guardarsi attraverso uno schermo in 3D, dove il volto sofferente di una donna si trasmuta in quello del presidente americano.
Tra le novità va annoverato il bis della Lituania, vincitrice anche per questa edizione della Biennale de “Il Leone d’oro”, per l’esordio tra i linguaggi analogici del videoclip, in realtà molto narrativo e cinematografico, con alcune assonanze con un videoclip della Rock Band degli R.E.M.. Ma le performance attirano e trascinano. Si tratta di un intervento che inscena un pezzo di spiaggia, completa di ombrelloni, bagnanti stesi al sole e un idea di mare che va oltre il perimetro visivo. E quando si esce all’esterno l’immagine ci accompagna mentalmente e visivamente; in tal modo anche lo spazio pubblico entra nella dimensione del privato.
Dentro e fuori dei padiglioni, imbattendoci tra una performance e un’installazione, quello che si presta a maggiore curiosità è il Padiglione di Israele.
“Prendete un numero di turno”; “Sfogliate il libretto FHX”; “Guardate il programma televisivo FHX”. E così il visitatore entra nel Field Hospital e attende il suo turno prima di iniziare il suo percorso.
Protagonista è Aya Ben Ron che ha trasformato il Padiglione Israeliano in una clinica “dove voci tacitate possono essere sentite e ingiustizie sociali possono essere viste…”.

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